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Sui passi della prima ascesa femminile di Cima Grande

Con tutte le donne del mondo nel cuore.

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Nel 1874, Anna Ploner scriveva una pagina di storia diventando la prima donna a scalare la Cima Grande delle Tre Cime di Lavaredo, una delle vette più iconiche delle Dolomiti. Figlia di Georg Ploner, gestore della locanda Schluderbach, punto di partenza per le escursioni verso le Tre Cime e il Monte Cristallo. Cresce assistendo a tante prime ascese, osservando le cordate maschili conquistare le sue montagne di casa. A soli 21 anni Anna raccoglie la sfida lanciatale dalla giovane guida alpina Michel Innerkoflere, guadagnandosi così il titolo di Prima Scalatrice Donna della Cima Grande.

 

Oggi, 150 anni dopo, noi di LaMunt abbiamo voluto celebrare quella straordinaria impresa con una salita firmata LaMunt. Cordata formata da Micol Dolci, membro della LaMunt Crew, Elena Iacopelli del Team LaMunt, guidate dalla guida alpina Erwin Steiner.

Quell'impresa di Anna Ploner non è solo un traguardo storico, ma un simbolo di ciò che significa affrontare la montagna con passione, determinazione e curiosità. Oggi, queste stesse qualità vivono nelle donne che, come Micol Dolci, abbracciano la montagna con la stessa intensità. Ecco il suo racconto della nostra recente salita celebrativa di Cima Grande.

Sulla destra Anna Ploner.

Elena e Micol sulla via verso la vetta di Cima Grande.

Sulla destra Anna Ploner.

Elena e Micol sulla via verso la vetta di Cima Grande.

Cima Grande, Cima Ovest e Cima Piccola: meglio note come Tre Cime di Lavaredo nell’omonimo parco naturale delle Dolomiti, patrimonio unesco.

Il lato più conosciuto è quello a Nord, in territorio altoatesino: si tratta di tre muraglioni verticali e immensi che paiono impossibili da scalare. Sono tanti gli alpinisti che si sono cimentati nell’impresa, i più famosi, i più bravi, perché da quel lato sono davvero difficili da affrontare. Poi c’è il lato sud in territorio bellunese, forse tecnicamente più facile, quanto meno in alcuni casi perché  le vie per salire sono davvero tante.

Le Drei Zinnen (le Tre Cime) hanno un valore affettivo importante per me, fin da piccola le guardavo ammirata mentre mi dirigevo  verso i tanti rifugi del parco naturale di cui fanno parte; le ho osservate  da ogni lato, ci ho girato attorno, le ho fotografate dalle cime vicine: il Monte Paterno, il Monte Piana, I Cadini di Misurina… ho fantasticato di regine e principesse, di incantesimi e folletti, della fata Samblana che raccolse il loro pianto per l’assenza di vegetazione sulle loro vette, prese tra le mani una piccola stella lucente la depose tra le rocce della più alta delle Tre Cime di Lavaredo e la trasformò in un meraviglioso fiore stellato dai petali vellutati bianchi come la neve… Quelle vertiginose altezze sono sempre state magiche per me.

Quanto ho sognato di arrivare lassù.

E fu così che un bel giorno, come in tutte le favole che si avverano, ho avuto la possibilità di realizzarlo  e l’ho fatto grazie ad un gruppo di donne appunto magiche, il team di LaMunt che ha trovato la formula per esaudire ogni necessità femminile in termini di abbigliamento da montagna. L’occasione non poteva che essere un simbolo dell’emancipazione femminile: la ricorrenza della prima salita di una ragazza alla Cima Grande quando, nel settembre del 1874 Le guide Michel Innerkofler e Luigi Orsolina con la ventunenne Anna Ploner effettuarono la prima ripetizione della Cima Grande di Lavaredo lungo il versante Sud, la cosiddetta via Normale,  e la giovane Ploner si aggiudicò in tal modo anche la prima femminile.

150 anni dopo, a settembre 2024 , altre due donne si guadagnano la stessa cima per la stessa via, la sottoscritta ed Elena Iacopelli del team LaMunt, per celebrare Anna e tutte coloro che si trovano a dover affrontare le salite e le asperità del quotidiano con fatica, determinazione,  concentrazione, attenzione per sé e per l’altro, capacità di adattamento, spirito di squadra e fiducia. Tutti ingredienti necessari alle ascensioni su qualsiasi vetta perché la montagna è anche una meravigliosa scuola di vita. Salire la Cima Grande per la via Normale è un sogno che si è avverato e la ricompensa è stata incredibile nonostante la fatica e la sveglia all’alba. Il viaggio impagabile, a cominciare dai colori del cielo mentre il sole sorgeva fino in cima per più di 600 metri di sviluppo. La Cima Grande ci ha aperto la porta ed è stato un susseguirsi di picchi, crode, cenge, canali, scorci… Un mondo magico e fatato. La difficoltà non è tecnica per chi è avvezzo alle scalate, ma certamente l’ambiente è severo: rocce, roccette, esposizione, pareti, tratti da arrampicare che si alternano a tratti in cui si cammina, il percorso è alquanto articolato e complesso, un vero"labirinto verticale" dove non poche cordate spesso si incrodano nel dedalo di canali e cenge. Facile perdersi perché la via non è ben segnata.

Il team era perfetto, Erwin, mitica guida, da primo di cordata ed io e Elena che ci alternavamo nei tratti più impegnativi, per il resto in conserva. Da ogni terrazza, da ogni cengia un’angolazione diversa delle vette circostanti, le montagne di casa per me, quelle del Cadore e di Cortina…

Ed infine la vetta e una grande emozione: La Grande è la più alta delle Tre Cime, quella  che sta in mezzo, tra la Ovest e la Piccola. Maestosa, vertiginosa da nord e bellissima. Lassù, con noi qualche sparuto gruppo di alpinisti e un gracco per niente intimidito, padrone incontrastato della cima. Finalmente ho ammirato dall’alto tutti i gruppi che ho sempre frequentato: sorapiss, cadini, cristallo, popera, croda dei toni, cima undici, paterno,… che meraviglia le Dolomiti!

Doverosa e sentita una dedica sul libro di vetta a tutte le magiche ragazze che ci hanno accompagnate lassù, il gruppo e la crew LaMunt in primis ma la nostra è stata anche una salita simbolica per tutte le donne del mondo e infine una dedica a mio padre, colui che per primo mi ha presentato quelle altezze… Alla fine su quella cima eravamo in tanti.

Poi la discesa, che nelle scalate è sempre la parte più rischiosa: abbiamo optato per scendere in doppia il più possibile. Il che, non lo nego, mi ha fatto piacere: disarrampicare mi sarebbe stato più ostico e forse più pericoloso con tutte le ghiaie scivolose tipiche di quei luoghi. 13 doppie e siamo stati anche veloci. Alle 14,30 eravamo di ritorno alla macchina, felici di celebrare la conquista con una birra e una fetta di torta, quelle certezze dopo ogni ascensione.

Festeggiamenti semplici come semplici e sincere sono le montagne che ci circondano.

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